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25/11/2020
HT Pubblicazioni : Cittadini dell'acqua
HT News : Pubblicazione di Laboratori REF RicercheCittadini dell’acqua. Desideri e aspirazioni degli utenti del servizio idrico
Le abitudini dei cittadini/utenti sono state recentemente sconvolte da una ritrovata coscienza ambientale e dalla recenteemergenza sanitaria. Questo mutato contesto apre l’opportunità per una nuova alleanza tra gestori e cittadini: è arrivato ilmomento per i gestori idrici di consolidare il rapporto di fiducia e di assumere una chiara identità, riconoscibile e riconosciuta,di soggetto attuatore di sostenibilità e tutela ambientale.Oggi 2 italiani su 3 affermano di conoscere “discretamente” il significato e le implicazioni della parola “sostenibilità”. Non solo. 1 su 3 dice addirittura di averne una conoscenza “buona” (Legambiente-Ipsos 2020). Un risultato impensabile solo qualche anno fa quando ancora si dibatteva sull’esistenza o meno del cosiddetto cambiamento climatico, ma anche un dato che racconta quella che non ci pare azzardato definire come una “rivoluzione culturale”. Negli ultimi due anni i temi ambientali – complici anche campagne di sensibilizzazione e manifestazioni come i Friday’s for Future – hanno fatto breccia nella coscienza collettiva dei cittadini-consumatori di tutto il mondo. In special modo sembra aver attecchito l’idea di una tanto necessaria quanto radicale revisione del rapporto tra uomo e natura, oggi deteriorato per l’uso che il primo ha fatto delle risorse messe a disposizione dalla seconda. Non è un caso che in cima alle intenzioni di cambiamento da parte degli individui ci sia quella della riduzione degli sprechi di risorse.Una tensione alla trasformazione delle proprie abitudini e stili di vita che la diffusione del Covid-19 e la conseguente emergenza sanitaria che stiamo vivendo dall’inizio di quest’anno paiono aver accentuato e reso più convinta. Per un quarto degli italiani, la pandemia è ascrivibile soprattutto a una cattiva relazione con l’ambiente, a una scarsa tutela della biodiversità e delle risorse disponibili (Rapporto Coop 2020 e Italia 2021 il Next Normal degli italiani). E l’acqua, fra queste ultime, è sicuramente una fra le più preziose.Scarsità di acqua dolce, periodi siccitosi sempre più frequenti, deterioramento degli ecosistemi dovuto allo sfruttamento e all’inquinamento, eventi meteorologici estremi sono fenomeni purtroppo evidenti e difficilmente negabili: in questo senso una maggiore consapevolezza della fragilità delle risorse idriche e degli ecosistemi può spingerci tutti ad agire e a chiedere un intervento rapido e deciso in grado di riportare la situazione verso un equilibrio
1. Desiderio di cambiamento e conoscenza del servizio idrico
Ma un cambio di attitudine passa soprattutto dal quotidiano e, come il caso dell’acqua, dalla conoscenza che da cittadini/utenti abbiamo o – come spesso accade – non abbiamo sia dei contorni di un servizio fondamentale per la nostra esistenza sia di quei soggetti che, per l’appunto, ogni giorno si occupano di gestire il ciclo dell’acqua. Vi sono almeno tre elementi che caratterizzano l’approccio nei riguardi del servizio idrico.Primo, la “scontatezza”: nella maggioranza dei casi si dà per ovvia la presenza di un servizio funzionante come se la risorsa idrica sia inesauribile e come se la sua gestione fosse priva di oneri e costi. Secondo, una approssimativa e lacunosa consapevolezza di quali compiti ha un gestore. Come emerge dalla nostra recente ricerca “Quanto vale l’ambiente?” solo un cittadino su tre identifica correttamente la totalità degli ambiti di servizio di cui il gestore è responsabile: fornitura di acqua alle utenze, raccolta e depurazione degli scarichi, controlli sulla qualità dell’acqua, investimenti lungo tutto il ciclo integrato. Il 10% non riesce ad indicarne neanche uno e solo 1 su 2 sa che il controllo della qualità dell’acqua è in capo ai gestori. Terzo, la scarsa conoscenza di chi eroga questo servizio. Solo il 50% degli italiani sa indicare il nome della società fornitrice dell’acqua che esce dai rubinetti di casa propria. La restante metà della popolazione, al contrario, afferma di non conoscere il gestore oppure ne indica uno sbagliato. Una risposta può essere: una mancata riconoscibilità è talvolta elemento positivo che indica l’assenza di ragioni per le quali il cittadino ha richiesto un intervento o reclamato per eventuali disservizi. Una spiegazione formalmente accettabile ma molto semplicistica. Più interessante è osservare il dettaglio territoriale. Vi sono zone nelle quali l’operatore è conosciuto dai cittadini, come nel caso del Nord-Est e del Centro-Italia (Emilia-Romagna e Lazio); tale conoscenza può essere letta anche alla luce di un maggiore desiderio di alcuni operatori di essere “prossimi” ai cittadini, anche attraverso strategie di informazione e comunicazione. Vi sono poi territori, come in alcune regioni del Nord-Ovest (Lombardia e Piemonte) ove solo di recente è stato individuato il gestore unico d’ambito, operatore di riferimento che sta subentrando alle gestioni locali con affidamenti in scadenza, la cui “notorietà” è ancora migliorabile, e territori, sempre nel Nord-Ovest, dove vi sono gestori di lunga data con una buona qualità del servizio la cui minor conoscenza da parte degli utenti può essere letta come la manifestazione di un servizio che funziona e di cui non ci si deve occupare/preoccupare. In alcune aree del Mezzogiorno, invece, la conoscenza è maggiore dove vi sono operatori grandi ed affermati (in Sardegna Abbanoa, in Basilicata Acquedotto Lucano e in Puglia Acquedotto Pugliese). Accanto a questi, sempre nel Mezzogiorno, vi sono territori ove è ancora diffusa la gestione diretta dei Comuni (soprattutto in Calabria e Molise) che fa registrare una scarsa conoscenza del gestore del servizio non identificato dagli utenti nel Comune stesso. La tendenza a livello nazionale è una maggiore soddisfazione dell’utenza nel Nord-Centro Italia e una decisa insoddisfazione nelle regioni meridionali e insulari. Al Nord, circa 1 individuo su 2 è contento del gestore, a differenza delle aree insulari dove solo il 30% del campione ha questa opinione. Cosa rimproverano gli abitanti del Sud alle società di gestione? Disservizi e frequenti interruzioni nella fornitura, una bassa qualità dell’acqua giudicata addirittura poco pulita o, ancora, il ricorrere di fenomeni di allagamento. Ma non è tutto. Nelle isole, una buona fetta dei rispondenti (27%) ritiene che i gestori siano per nulla attenti ai suggerimenti e alle segnalazioni che giungono dai loro utenti, mentre nell’Italia Settentrionale questa quota è inferiore al 10%.
2. Fiducia, la parola chiave nel rapporto tra utenti-gestori
Eppure, secondo la nostra indagine, gli operatori del servizio idrico meritano più fiducia delle amministrazioni locali. In una scala da 1 (totale mancanza di fiducia) a 5 (piena fiducia) i gestori del servizio idrico ottengono punteggi incoraggianti. Occupano i gradini più bassi della scala di fiducia degli italiani la Pubblica Amministrazione e, in generale, lo Stato: soggetti sentiti come “lontani” e distanti dalle problematiche quotidiane. Ciò evidenzia come il tema della vicinanza e quello della fiducia non possano essere separati: solo attraverso un atteggiamento di reale “prossimità” è possibile fondare una relazione solida e di mutua fiducia con i cittadini-utenti[1]. Una fiducia che ha declinazioni anche molto concrete, come è quella di scegliere di “bere l’acqua del rubinetto”. Un gesto piuttosto scontato in molti Paesi europei ma che in Italia ha da sempre fatto i conti con una diffusa tendenza all’acquisto di acqua minerale in bottiglia, come dimostrano i 4 cittadini su 10 che non “bevono mai” l’acqua proveniente dal rubinetto. Eppure, con l’arrivo delle misure restrittive per contenere la pandemia si è registrato un cambio di abitudini: per il 21% degli intervistati che hanno cambiato le proprie abitudini la scelta di bere acqua del rubinetto è stata una delle prime e immediate risposte verificatesi a seguito del lockdown. Una decisione che pur dettata in certa misura da ragioni pratiche (le limitazioni agli spostamenti) ha trovato nella fiducia nel servizio offerto un suo movente. Che sia una questione di “fiducia” nell’operato del gestore lo dimostrano le differenze territoriali. Chi usa regolarmente l’acqua del rubinetto per dissetarsi generalmente abita nelle regioni del Nord (48%), già contrassegnate da un più alto grado di apprezzamento nei riguardi del servizio idrico. Al Sud e nelle Isole, questa quota si abbassa drasticamente fino a toccare il 15%. Il dato di maggiore impatto per spiegare queste differenze è quello secondo cui l’85% delle persone che nelle Isole non beve acqua del rubinetto lamenta scarse qualità chimiche e/o fisiche, un sapore non gradevole o poca limpidezza, mentre nelle regioni del Nord questa stessa quota scende intorno al 35%. Dove l’acqua in bottiglia è consumata in misura maggiore è a causa della bassa qualità organolettica della risorsa resa disponibile dal rubinetto, pur sempre potabile. Inoltre, sono significative le ragioni riferite alla percezione della qualità dell’acqua: nelle Isole più di un cittadino su due tra coloro che non bevono mai acqua del rubinetto ritiene che non sia sicura o comunque che non giovi alla salute. A questo dato si contrappone il meno preoccupante sentire del Nord-Est, dove solo un cittadino su cinque ha questa opinione. Un dato uniforme in tutta la Penisola riguarda la minore predisposizione delle persone anziane a un cambio delle proprie abitudini di consumo: l’80% dei cittadini con più di 60 anni, rispetto al 58% di quelli con meno di 35 anni. Anche in questo caso, conoscenza e conseguente fiducia divengono fattori determinanti: più so che l’acqua erogata è qualitativamente buona più sono disposto a consumarla (“mi fido”). Un gesto che ha due risvolti positivi: meno impatto ambientale e risparmio economico. Specialmente oggi che siamo portati a consumare più acqua, costretti – come lo impongono le circostanze – a rimanere più tempo nelle nostre abitazioni. Infatti, è necessario accrescere la consapevolezza dei cittadini circa il contributo che il servizio idrico dà e può dare alla tutela ambientale chiudendo un gap ancora presente, ovvero che l’acqua che esce aprendo il rubinetto di casa nostra è solamente una porzione dell’attività che caratterizza il settore. Come si diceva, la pandemia che ancora sconvolge la nostra quotidianità ha portato – inevitabilmente – a una riflessione sul futuro e a un ripensamento degli obiettivi prioritari ai quali puntare per ripartire in modo nuovo. E questo vale anche in termini di indirizzo delle risorse economiche nazionali o europee come quelle dell’ormai noto Recovery Fund. Tra le proposte di utilizzo, oltre al naturale potenziamento della spesa sanitaria e del sistema ospedaliero, gli italiani hanno indicato tre opzioni che riguardano la sostenibilità ambientale e la cosiddetta transizione verde. E di queste, due sono strettamente legate al servizio idrico integrato: la lotta al cambiamento climatico insieme alla tutela dell’ambiente e l’adeguamento dei servizi di fognatura e depurazione alla normativa europea. Si tratta di un’ulteriore conferma di quanto la sensibilità alla tutela ambientale sia diventata centrale nel dibattito e domandi a gran voce ai gestori idrici di recuperare i ritardi infrastrutturali del passato e di sviluppare un nuovo paradigma per il servizio idrico sempre più orientato alla sostenibilità ambientale e alle sue sfide. -
13/11/2020
HT News : "La grande eresia della rivoluzione verde è un’enorme fake news?"
L’autore del post è Enrico Mariutti, ricercatore e analista in ambito economico ed energetico. Founder della piattaforma di microconsulenza Getconsulting e presidente dell’Istituto Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) –
Ogni anno l’uomo estrae dal suolo e dal sottosuolo terrestre 50 miliardi di tonnellate di materiali da costruzione, combustibili fossili, minerali e metalli. Per intenderci, una massa pari a quella di 140.000 Empire State Building.
A questo gigantesco prelievo di risorse naturali è correlato un devastante impatto ambientale.
Tutti abbiamo in mente le immagini delle petroliere in avaria che riversano in mare migliaia di tonnellate di greggio. Non tutti sanno, invece, che uno dei disastri ambientali più gravi degli ultimi decenni è stato causato da una miniera di rame (il disastro di Ok Tedi) o che una delle principali cause degli incendi boschivi in Amazzonia e in Africa è proprio l’attività estrattiva.
Per allentare la pressione antropica (umana) sull’ecosistema terrestre un gruppo agguerrito di scienziati, comunicatori, attivisti e politici è riuscito gradualmente a imporre a un’ampia fetta dell’opinione pubblica occidentale una nuova prospettiva di sviluppo, incentrata apparentemente su un consumo più razionale delle risorse naturali.
Invece di estrarre miliardi di tonnellate l’anno di carbone, petrolio e gas naturale dovremo imparare a sfruttare l’energia del Sole e del vento, risorse rinnovabili il cui sfruttamento non danneggia l’ecosistema.
Tutto giusto, no?
No, tutto sbagliato.
Pannelli solari, pale eoliche, batterie e auto elettriche sono dispositivi tecnologici fatti di cemento, plastica, acciaio, titanio, rame, argento, cobalto, litio e decine di altri minerali.
Un commentary uscito su Nature Geoscience pochi anni fa stima che, solo per convertire un settimo della produzione di energia primaria mondiale (25.000 TWh), potrebbe essere necessario triplicare la produzione di calcestruzzo (da poco più di 10 miliardi di tonnellate l’anno a quasi 35), quintuplicare quella di acciaio (da poco meno di due miliardi di tonnellate a poco più di 10) e moltiplicare di varie volte quella di vetro, alluminio e rame. E stiamo parlando di convertire alle energie rinnovabili neanche il 15% del fabbisogno energetico mondiale.
Non solo, va considerato anche un aspetto tecnico: il “filone d’oro” esiste solo nei fumetti. Per fare un esempio, mediamente in un giacimento di rame il rame è presente con una concentrazione di circa lo 0,6%. Questo vuol dire che per estrarre una tonnellata di metallo bisogna sbriciolare più di 150 tonnellate di roccia. Le grandi miniere d’oro sudafricane macinano 5/6.000 tonnellate di roccia al giorno per estrarre meno di 20 tonnellate di metallo prezioso l’anno.
Ma non basta. Come si produce l’alluminio? Beh, con un procedimento che consuma moltissima energia: per produrre una tonnellata di alluminio, infatti, sono necessari circa 30.000 kwh (tra energia termica ed elettrica). E anche la siderurgia è un’attività energivora: la produzione di una tonnellata di acciaio richiede tra gli 800 e i 5.000 kwh equivalenti.
Quindi, solo per produrre l’acciaio necessario a costruire pannelli e turbine eoliche sufficienti a generare 25.000 TWh l’anno di energia rinnovabile, potremmo avere bisogno di 7.000/40.000 TWh l’anno di energia fossile in più.
E non è finita qui. Di circa una decina di materiali alla base della “rivoluzione verde”, infatti, le riserve conosciute basterebbero a coprire solo pochi di anni di consumo in uno scenario 100% rinnovabili. L’Unione Europea, per esempio, prevede che, per centrare gli ambiziosi target del Green Deal, avrà bisogno di molte più terre rare di quante ne vengano estratte attualmente in tutto il mondo.
Su Econopoly ci eravamo già occupati di questo aspetto e lo avevamo fatto ben prima che la pandemia di Covid-19 mettesse in luce che la Scienza non è affatto monolitica come la dipingono alcuni media (Sul clima impazzito ascoltate gli scienziati. Ok, ma quali?).
In definitiva, dietro a quella che chiamiamo “rivoluzione verde” si nasconde in realtà un programma per accrescere rapidamente e drasticamente il prelievo di risorse naturali. Con tutto quello che consegue per la salute degli ecosistemi e anche degli esseri umani: per estrarre miliardi tonnellate di ghiaia, argilla, ferro, bauxite e rame in più, distruggeremo altre foreste incontaminate, inquineremo ulteriormente aria e acqua, spingeremo verso l’estinzione decine di migliaia di specie animali.
Quindi, in buona sostanza, uno scenario molto diverso da quello che viene venduto all’opinione pubblica.
Non si tratta di una distopia, di un futuro lontano avvolto nelle nebbie del probabilmente e del forse: la Commissione Europea ha appena annunciato un programma di finanziamenti per l’industria mineraria europea e il prezzo del rame vola (+40% da marzo a oggi), trainato proprio dalla domanda legata alle auto elettriche cinesi e al Green Deal europeo. Ci siamo già dentro, stiamo già devastando centinaia di ecosistemi alla ricerca di litio e cobalto per le batterie o terre rare per i magneti delle turbine eoliche.
Sospinti dall’emotività, alimentiamo una bolla epocale.
Ci sono altre soluzioni? La temperatura continua ad aumentare, non possiamo fare finta di niente.
Certo che ci sono altre soluzioni.
E, di nuovo, ci si scontra con il muro di gomma della divulgazione: l’opinione pubblica è stata convinta che non ci siano altre strade ma in realtà non è così.
Prendiamo un caso esemplare: la Cattura Diretta in Atmosfera (DAC).
La cattura diretta è una tecnologia dall’apparenza pionieristica, ma in realtà molto semplice, che permette di separare l’anidride carbonica dall’aria. Niente di fantascientifico, esistono decine di impianti pilota perfettamente funzionanti in tutto il mondo.
Genericamente questa tecnologia viene ridicolizzata in quanto molto costosa: i risultati certificati a livello scientifico si attestano su un costo minimo di 94 dollari per ogni tonnellata di anidride carbonica catturata dall’atmosfera. Oggettivamente, un costo non indifferente dato che ne emettiamo quasi 37 miliardi di tonnellate l’anno.
Chiunque faccia notare che stiamo parlando dei dati relativi a un impianto pilota, molto piccolo, e che in un impianto di grandi dimensioni i costi potrebbero essere già ora molto più bassi, viene accusato di pensiero magico, nonostante il potenziale delle economie di scala sia noto e facilmente misurabile.
Oltretutto, si pretende che la cattura diretta competa con le rinnovabili senza beneficiare di incentivi pubblici, mentre le rinnovabili vengono generosamente sussidiate.
Beh, la cosa curiosa è che le stime attuali sui costi della “rivoluzione verde” si aggirano intorno ai 5.000/6.000 miliardi l’anno, mentre catturare l’anidride carbonica direttamente dall’atmosfera a 94 dollari la tonnellata (ripetiamolo: un costo irragionevolmente gonfiato immaginando un impiego su larga scala) costerebbe “solo” 3.000 miliardi l’anno! È veramente difficile capire come si possa definire la cattura diretta costosa, appoggiando contemporaneamente una soluzione che costa il doppio.
Da non dimenticare, poi, come sottolinea proprio Nature, che la cattura diretta ha un vantaggio fondamentale rispetto a tutte le altre soluzioni: minimizza l’incertezza, aggredisce il nocciolo del problema. Da una parte parliamo di ridurre l’aumento della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera attraverso complessi meccanismi culturali e sociali, dall’altra di toglierla direttamente con una tecnologia.
Ancora più curioso è il caso della riforestazione e dell’agricoltura rigenerativa (da non confondere con l’agricoltura biologica o biodinamica: parliamo di agricoltura intensiva con rese superiori a quella chimica tradizionale), due opzioni perfettamente ecosostenibili che ci permetterebbero di tamponare rapidamente il problema del cambiamento climatico, con un dispendio di risorse limitato e ricadute socioeconomiche allettanti. Eppure, le iniziative in questa direzione sono continuamente sotto il fuoco degli scienziati, dei divulgatori e degli attivisti green. Un paradosso. L’accusa è spiazzante: l’adozione di queste soluzioni potrebbe rallentare la transizione verso le energie rinnovabili.
Ma l’obiettivo finale di questo gigantesco sforzo è mettere al sicuro il pianeta dall’incertezza climatica oppure far fare un mucchio di soldi alla lobby delle energie rinnovabili? Oramai è diventato molto difficile capirlo.
Elon Musk è indubbiamente un imprenditore brillante, un genio del nostro tempo, ma non per questo ci dobbiamo sentire obbligati a versargli 1.000/2.000 miliardi di dollari l’anno, generosamente irrorati da fondi pubblici che togliamo alla sanità o all’educazione, solo per fare due esempi.
Sarebbe bello poter chiosare, come d’altronde va molto di moda in questi tempi, dicendo che è sempre più importante studiare, informarsi, approfondire, perché ne va del nostro futuro. Ma se a monte c’è un filtro che seleziona quali informazioni devono arrivare ai media e quali no, questo diventa solo l’ennesimo esercizio di stile altezzoso e inconcludente.
“Va notato che l’IPCC nel suo quinto rapporto, coerentemente con tutte le precedenti relazioni di valutazione, non affronta esplicitamente la questione delle implicazioni materiali degli scenari di sviluppo climatico” (World Bank).
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15/03/2019
HT News : Cambiamenti climatici, l’inverno caldo del Nord mette già in crisi il Po. E nel Delta risale l’acqua del mare: habitat a rischio
Quasi un mese senza pioggia, il secondo dall’inizio dell’anno, nella terra attraversata dal Grande Fiume. Così l’Emilia-Romagna si ritrova a metà marzo, con un piede ancora nell’inverno, a fare i conti con l’allarme siccità: l’acqua del Po è a livelli troppo bassi per il periodo, così come lo è quella di fiumi, laghi, invasi nel nord Italia. E le conseguenze potrebbero farsi sentire nei prossimi mesi, quando sarà il momento di irrigare campi e coltivazioni e l’acqua potrebbe non bastare, con il rischio di raccolti e produzioni azzerate, che si ripercuoterebbero sull’intero territorio a vocazione agricola. “Se l’assenza di pioggia si protrae – spiega a ilfattoquotidiano.it Meuccio Berselli, segretario generale dell’Autorità di bacino Distrettuale del Fiume Po – prima dell’estate si potrebbe andare incontro a una situazione di scarsità idrica. Dobbiamo cercare di conservare al meglio la risorsa e non disperderla”.
Inverno asciutto al nord – Da 27 giorni consecutivi, secondo i dati del Coordinamento delle agenzie Arpa del Distretto del fiume Po, non piove nelle province bagnate dal Grande Fiume, e così è stato anche a fine gennaio per altri 28 giorni. Un record al ribasso, che ha visto un calo del 35-40 per cento delle piogge rispetto alla media stagionale. Il dato è in linea con tutto il nord Italia, che registra precipitazioni dimezzate in questo inverno, come ha riferito Coldiretti sulla base degli ultimi dati Isac/Cnr sull’andamento climatologico in occasione della settimana di #Fridaysforfuture, la mobilitazione globale che chiede azioni concrete contro i cambiamenti climatici. Perché non sono soltanto le mezze stagioni a non esserci più, come si usa dire in questi casi. A sparire, cancellato da condizioni meteo sempre più insolite, è anche l’inverno, stravolto da colonnine del mercurio con temperature al di sopra delle medie di stagione (nel mese di febbraio la media storica italiana è stata superiore di 1,38 gradi e al Nord addirittura di circa 2 gradi) e scarse, se non addirittura assenti, precipitazioni. Lo dimostra anche la “finta primavera” di fioriture e coltivazioni in anticipo dovuta al clima più mite, che ora, come sottolinea Coldiretti, fa temere ai coltivatori il ritorno di un’ondata di freddo per il rischio di avere danni alla produzione.
Il fiume Po come d’estate – Il primo campanello d’allarme di questa anomalia climatica si riscontra proprio nei livelli del Po, che secondo i dati diffusi dal Coordinamento Arpa, in questo periodo registra una portata ben al di sotto della norma. Il problema è la mancanza perdurante di precipitazioni, ma anche lo scarso contributo derivante dallo scioglimento della neve, che non è caduta in quantità sufficienti nei mesi invernali. Altro elemento di rilievo sono le temperature di questo periodo, che sono solitamente tipiche della seconda metà di aprile o di inizio maggio, e che arrivano a oscillare tra i 21 e i 23 gradi. Tutto questo ha portato la quantità di acqua del Grande Fiume a scendere a limiti preoccupanti. Ovunque, segnalano gli enti competenti, gli afflussi sono stati inferiori del 70 per cento in gennaio e del 40 per cento in febbraio rispetto al passato. È inverno, ma sembra già estate sul Po, che presenta condizioni critiche nei punti di rilevazione lungo tutto il suo corso: Piacenza, Cremona, Boretto, Borgoforte, Pontelagoscuro. A Boretto, in provincia di Reggio Emilia, per tutto febbraio si sono registrate quote attorno agli 850-870 metri cubi di acqua al secondo e ora si sono abbassate ulteriormente attorno agli 800, con una diminuzione del 20-25 per cento rispetto alla media, che supera i 1000-1100 metri cubi al secondo. Le altezze idrometriche riportano risultati sfavorevoli, con un -2,49 metri sullo zero idrometrico nella prima settimana di marzo, mai registrato nei tre anni precedenti. Nel Piacentino, dove il livello idrometrico al Ponte della Becca è di -2,73 metri, se non pioverà entro le prossime settimane, la portata andrà progressivamente ad avvicinarsi ai 400 metri cubi al secondo, la cosiddetta soglia “minima”. Stessi numeri in negativo anche alla stazione di Pontelagoscuro (Ferrara), già arrivata a 5,46 metri sotto la media.
Sul Delta il cuneo salino minaccia le falde – Anche il delta del Po non versa in buona salute. L’abbassamento del livello dell’acqua provoca infatti la risalita del cuneo salino. In altre parole, nella parte terminale del fiume penetra maggiormente l’acqua di mare, arrivando più facilmente alle falde acquifere, che acquisiscono una componente salina e diventano quindi inutilizzabili per l’agricoltura. Un’altra minaccia per l’economia della zona. “L’innalzamento del cuneo salino provoca un cambiamento nell’habitat del fiume – spiega Berselli – ma anche un cambiamento ambientale del territorio, che perde così la sua vocazione agricola. Per questo sono previste riserve d’acqua importanti per tenere lontano il cuneo salino. La situazione attuale è già a livelli preoccupanti”.
Come la grande siccità del 2007 – Il quadro complessivo del fiume Po secondo l’Anbi (Associazione nazionale consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue), ricorda quello dell’anno della grande siccità del 2007, il più terribile degli ultimi tempi. Le conseguenze si prospetterebbero dunque anche peggiori di quelle del 2017. In quell’anno la scarsità di acqua, ricorda Coldiretti, aveva creato difficoltà “anche per gli usi civili nei centri urbani”, causando un costo di 2 miliardi di danni all’agricoltura e tagli ai raccolti delle principali produzioni come ortaggi, frutta, cereali, ma anche vigneti e fieno per l’alimentazione degli animali per la produzione di latte. Per questo, secondo il presidente di Anbi, Francesco Vincenzi, è necessario “attivare al più presto tavoli di concertazione nelle regioni del nord, per contemperare preventivamente i diversi interessi gravanti sull’utilizzo della risorsa idrica, rispettando le priorità previste dalla normativa, che indica l’uso agricolo dopo quello umano.” Secondo Vincenzi, la soluzione consisterebbe nell’attuazione del Piano Invasi Straordinario, che prevede opere idriche, e in ulteriori investimenti nel settore.
Fiumi e grandi laghi del nord in sofferenza – Ma il Grande Fiume non è l’unico ad accusare il colpo. Secondo l’Anbi l’attuale fase di criticità idrica non interessa solo il Po, ma tutta l’area della Pianura Padana, con i suoi corsi d’acqua e i suoi laghi. L’Adige è sotto il livello minimo, e drastiche riduzioni di portata rispetto allo scorso anno hanno registrato i fiumi Enza, Secchia e Reno. Altro indice di sofferenza è dato dalla riserva rappresentata dai grandi laghi del nord: al 13 marzo il livello di riempimento del lago Maggiore era del 31,5 per cento, quello di Como del 10,6 per cento, quello di Iseo del 13,4 per cento. “L’unico lago importante con una riserva ancora sufficiente è il lago di Garda con il 91,4 per cento del volume – spiega Berselli dell’Autorità di Bacino – Ma quello che ci preoccupa di più è a monte, perché a questi laghi manca la riserva data dal contributo nivale, ossia l’acqua derivante dallo scioglimento delle nevi”. In montagna infatti la neve è troppo poca e con le temperature dell’ultimo periodo non si è preservata, quindi non andrà a breve a ingrossare più di tanto le acque di laghi e fiumi a valle.
Le conseguenze sull’agricoltura e i tavoli di crisi – Sul fiume Po le prime ripercussioni sulla diminuzione dei livelli di portata si notano già nelle difficoltà degli impianti idrovori di bonifica a prelevare le acque per le coltivazioni e nel fenomeno progressivo dell’insabbiamento dell’alveo. Ma nei prossimi mesi, con il pieno avvio delle attività agricole, il quadro andrà peggiorando. Per questo le agenzie e gli enti competenti sono corsi ai ripari con tavoli sul tema. A Parma il 14 marzo l’Autorità di Distretto del Fiume Po ha convocato l’Osservatorio sulla Crisi Idrica, struttura volontaria di coordinamento tra i diversi enti (Autorità di Distretto, Regioni, ministero dell’Ambiente, Consorzi di bonifica, multiutility e stakeholder) che si riunisce periodicamente con l’obiettivo di prevenire il deterioramento qualitativo e quantitativo della risorsa idrica, assicurarne un utilizzo sostenibile e mitigare gli effetti delle inondazioni e della siccità.
L’arrivo dei temporali. “Ma non servono” – La situazione per gli addetti ai lavori è grave ma ancora reversibile, anche se non nel brevissimo periodo. I pochi giorni di pioggia previsti nelle prossime settimane non basteranno a riequilibrare una situazione già compromessa. E nemmeno l’agricoltura avrà giovamento, visto che per essere di sollievo, spiega Coldiretti, “la pioggia deve durare a lungo, cadere in maniera costante e non troppo intensa, mentre i forti temporali, soprattutto con precipitazioni violente, provocano danni poiché i terreni non riescono ad assorbire l’acqua che cade violentemente e tende ad allontanarsi per scorrimento con gravi rischi per l’erosione del suolo”. Le riserve idriche serviranno invece nei prossimi mesi nei campi, “quando le colture ne avranno bisogno per crescere”. Ma per questo è fondamentale attivarsi affinché l’acqua si preservi fino ad allora.
di Silvia Bia da F.Q.
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02/01/2019
HT News : Clima COP 24 Katowice
Hanno perso i cittadini e il pianeta, ma dalla Cop24 esce al momento sconfitta anche la scienza. La conferenza internazionale sul clima si è chiusa infatti con un documento che rimanda al futuro impegni più ambiziosi, in barba all’appello drammatico ad agire lanciato a ottobre dal panel di scienziati delle Nazioni Unite (Ipcc). A Parigi nel 2015 gli Stati avevano firmato un accordo per mantenere il riscaldamento climatico entro i 2 gradi (possibilmente 1,5) rispetto ai livelli pre-industriali e avevano chiesto lo studio. Poco più di due mesi fa, le menti più illustri della ricerca scientifica avevano presentato i risultati, dicendo chiaro e tondo che i prossimi anni saranno cruciali per la vita sulla Terra così come la intendiamo oggi, ma la loro esortazione a mettere in campo politiche efficaci alla fine è caduta nel vuoto.
Gli stessi Paesi, infatti, non hanno accolto all’unanimità i risultati dello studio. Delegittimando così il lavoro di centinaia di ricercatori di tutto il mondo, e dunque il ruolo della scienza per la democrazia. “La mia più grande preoccupazione”, dice il direttore designato del centro Potsdam Institute for Climate impact research, Johan Rockström, è che la Cop24 “non abbia allineato le ambizioni con la scienza. Continuiamo a seguire un percorso pericoloso che ci porterà in un mondo a 3-4 gradi più caldo entro questo secolo”. E mentre a questo si aggiungono nulla di fatto anche su altri aspetti, gli ambientalisti ricostruiscono le responsabilità. La rete di oltre 1.300 ong da 120 Paesi Climate Action Network punta il dito contro “gli stati canaglia” come Usa e Arabia Saudita, ma ricorda anche la connivenza di chi è rimasto a guardare: “Troppi Paesi sono venuti impreparati e hanno scelto di rimanere ai margini”.
Gli scettici: i Paesi produttori di greggio – A guidare il fronte degli scettici verso la scienza c’erano i maggiori produttori mondiali di greggio: oltre all’Arabia Saudita e agli Usa, anche Kuwait e Russia. D’altra parte, conciliare un’economia basata sulle fonti fossili con la necessità scientificamente provata di dimezzare le emissioni di CO2 al 2030 come previsto nel rapporto dell’Ipcc di ottobre scorso, è impossibile. Una richiesta che non piaceva ovviamente nemmeno alla Polonia, che dal carbone ricava l’80% della sua energia. Anche l’Australia alla Conferenza ha celebrato i benefici del carbone e il Brasile ha ritirato l’impegno a ospitare i colloqui sul clima il prossimo anno.
Gli scenari apocalittici (ma realistici) – Lo studio speciale degli scienziati pubblicato a ottobre scorso, però, non conteneva solo l’indicazione di dimezzare le emissioni di CO2 al 2030. Accanto a questo dato, spesso ricordato in questi giorni, i ricercatori hanno delineato gli scenari apocalittici, ma drammaticamente realistici, legati a un aumento della temperatura di 2 gradi anziché 1,5. Apparentemente questi due target sono vicinissimi, ma se con azioni più ambiziose si raggiungesse il primo, l’innalzamento del livello del mare minaccerebbe 10 milioni di persone in meno, e la popolazione mondiale con scarso accesso all’acqua potrebbe essere minore del 50%. La Terra avrebbe più sete, ma anche più fame, passando da 1,5 a 2 gradi in più: la perdita di pescato, per esempio, crescerebbe da 1,5 milioni di tonnellate a oltre 3 milioni di tonnellate. Anche gli ecosistemi pagherebbero un prezzo altissimo. Nell’Artico, le estati senza ghiaccio in mare si verificherebbero una volta ogni secolo con un riscaldamento di 1,5 gradi, ma ogni 10 anni se si sforasse fino a 2 gradi. In quest’ultimo scenario la barriera corallina andrebbe praticamente perduta.
Da Katowice nessun impegno collettivo – A ottobre gli scienziati calcolavano che gli impegni presi dai Paesi in quel momento avrebbero portato il mondo a un riscaldamento di 3 gradi e nonostante la diffusione del rapporto, chiesta dagli stessi firmatari dell’accordo di Parigi, non è stato raggiunto un impegno collettivo chiaro per mettere in atto azioni più ambiziose e incisive. “I leader mondiali sono arrivati a Katowice con il compito di rispondere agli ultimi rapporti della scienza sul clima. Sono stati compiuti importanti progressi, ma ciò a cui abbiamo assistito in Polonia rivela una fondamentale mancanza di comprensione della nostra attuale crisi climatica da parte di alcuni Paesi”, dice il responsabile Clima ed energia del Wwf internazionale, Manuel Pulgar-Vidal. “I governi hanno deluso i cittadini e ignorato la scienza e i rischi che corrono le popolazioni più vulnerabili. Riconoscere l’urgenza di un aumento delle ambizioni e adottare una serie di regole per l’azione per il clima, non è neanche lontanamente sufficiente allorquando intere nazioni rischiano di sparire”, aggiunge la direttrice esecutiva di Greenpeace International, Jennifer Morgan.
Bonelli: “Più investimenti per le armi” – La non accettazione comune e completa dei risultati scientifici non è l’unico aspetto grave dell’accordo con cui si chiude la Cop24. Il Wwf ricorda altri punti critici: “La conferenza si conclude con poca chiarezza su come si debba contabilizzare il finanziamento sul clima fornito dai paesi industrializzati a quelli in via di sviluppo, su come si raggiungerà l’obiettivo dei 100 miliardi entro il 2020 o su come sarà concordato l’obiettivo finanziario globale dopo il 2025”. Proprio rispetto all’obiettivo dei 100 miliardi a sostegno delle politiche sul clima, il leader dei Verdi Angelo Bonelli ricorda che mentre si discute su come raggiungere questo target, “nel 2017 si è raggiunto il record mondiale storico di 1748 miliardi di dollari per le spese in armamenti”. Inoltre, come evidenzia la rete di oltre 1.300 ong Climate Action Network, alla Cop24 non sono state stabilite regole per i mercati delle emissioni di carbonio dopo il 2020.
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01/01/2019
Apertura Nuovo Studio Tecnico HT Hydro Technology
HT Hydro Technology è lieta di confermare l'apertura nel nuovo Studio Tecnico in Via Francesco Petrarca, 20 a Canossa (RE), nella splendida cornice della Val D'Enza, a pochi passi dal Famoso Tempietto del Petrarca, un luogo che rappresenta appiena ciò che HT cerca di essere dalla sua fondazione, un luogo immerso nella natura, in lunghi e intramontabili orizzonti, dove la matitna presto si possono sentire i rumori della foresta, gli uccelli, i caprioli, per arrivare all sera e godere dello spettacolo di tramonti incantevoli (che potete ammirare nelle foto in allegato). Questo luogo è stato cercato e scelto fin dal lontano 2013, Anno di fondazione di HT, ed oggi finalmente trovato, la creazione di uno studio tecnico in cui potersi incontrare con i clienti, in cui potersi perdere per un attimo per poi ritrovarsi, un ambiente in grado di accogliere e totalmente fuori dai canoni moderni.
"Una Location lontana nel tempo per ritornare dal tempo..."
Come accade da sempre, l'ufficio tecnico manterrà i soliti orari canonici e come sempre è vivamente consigliato prendere appuntamento.
Un piccolo estratto della storia di questo luogo meraviglioso e incredibile :
"Il tempietto è situato in amena posizione presso il poggio delle Pendici. Nell'estate del 1341 il Petrarca, ospite di Azzo da Correggio nel vicino castello di Guardasone, ebbe occasione di salire a Selvapiana e di tale visita scrisse a Barbato di Sulmona facendone ricordo nella Epistola "Ai posteri" (1). Il luogo gli piaque tanto che lo allettò al punto da riprendere il poema interrotto dell'Africa. Nel 1815 alcuni insigni cittadini di Parma, tra cui il Marsand, pensarono di erigere un monumento al Petrarca in Selvapiana, allora territorio Parmense. L'idea non ebbe subito attuazione e solo nel 1835 una Società di studiosi potè acquistare un terreno sulla destra dell'Enza, chiamato "Alle Pendici" e su di esso nel 1838 con disegno dell'architetto Nicolò Bettoli, realizzare il Tempietto che ancora si vede, decorato nella volta ad encausto dal pittore Francesco Scaramuzza per munificenza di Maria Luigia; nel frontone Pietro Giordani volle scolpire la dicitura "MDCCCXXXIX PER VISIBILE SEGNO DELL'ONORE DATO A QUESTO LUOGO" (2). Nell'interno del Tempietto fu collocata la statua marmorea del Poeta, opera pregevole di Tommaso Bandini. Dal 1926 è in proprietà della Provincia di Reggio Emilia che, nel 2009, ne ha curato il restauro."
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01/06/2018
Acque reflue, Corte di giustizia Ue multa l’Italia: 25 milioni di euro subito e altri 30 ogni 6 mesi di ritardo nell’adeguamento
Venticinque milioni di euro subito, più altri 30 ogni sei mesi di ritardo nella messa a norma di oltre 100 centri urbani o aree sprovvisti di reti o sistemi di trattamento delle acque reflue. Costano care le acque fognarie all’Italia, per la seconda volta dal 2012. La Corte di giustizia Ue ha imposto una maxi-multa fortettaria facendo notare che a distanza di anni dalla prima sentenza, il numero degli agglomerati non conformi si è ridotto da 109 a 74, ma è comunque grande il ritardo nel seguire le disposizioni dell’Unione Europea, che si applicano dal 31 dicembre 2000. Una multa attesa, secondo diversi studi degli scorsi anni, che davano per “improbabile” l’adeguamento.
Inoltre l’Italia è già stata condannata dalla Corte per la gestione inadeguata delle acque di scarico urbane e ha in corso due procedura di infrazione per lo stesso motivo, una delle quali ha portato a una prima sentenza nel 2014. Per questi motivi i giudici hanno stabilito che il nostro Paese dovrà versare nel bilancio dell’Ue, oltre alla maxi-multa, altri 30 milioni per ogni semestre di ritardo nell’applicazione delle misure necessarie per conformarsi alla sentenza di sei anni fa.
Recentemente, l’Italia ha subito anche tre deferimenti per il mancato abbattimento degli ulivi affetti da Xylella, la ripetuta violazione dei limiti di Pm10 nell’aria e l’assenza di un programma nazionale sulla gestione dei rifiuti radioattivi. Sulla batterio della Xylella, che ha duramente attaccato gli ulivi secolari delle province di Lecce, Brindisi e Taranto, i Commissari Ue erano stati molto chiari: “La lotta al batterio è stata un fallimento. Abbattete gli alberi malati”. Per quanto riguarda lo smog, la decisione della Commissione si riferisce alla ripetuta violazione dei limiti Ue per il particolato Pm10 sul quale il ministro Gian Luca Galletti aveva dato ampie rassicurazioni, venendo smentito dal commissario europeo Karmenu Vella.
Sul fronte dei rifiuti radioattivi, la Commissione ritiene che non sia stata assicurata la piena conformità alla direttiva in materia. Gli stati membri dell’Unione, infatti, erano tenuti a notificare i programmi nazionali di gestione del combustibile nucleare esaurito entro il 23 agosto del 2015. Un modo per garantire ai cittadini la gestione responsabile e sicura dei rifiuti radioattivi. Ma l’Italia non ha mai notificato, né presentato, questo programma.
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15/10/2017
HT Report : Ecoreati
HT Report : Stefano Palmisano
"Ecoreati"
Ancora una sentenza della Corte di Cassazione sul nuovo delitto di inquinamento ambientale; stavolta resa in una vicenda riguardante scarichi illegali in un canale sito in provincia di Agrigento. Ancora una conferma della funzionalità del reato in chiave di tutela sostanziale del bene ambiente.
E’ ancora presto, troppo presto, per affermare che la nuova legge sugli ecoreati ha passato l’esame della Giurisprudenza. Quelle avutesi finora sono pronunce “cautelari”: riguardano, cioè, la fondatezza e correttezza di una misura cautelare (di solito un sequestro) disposta durante le indagini preliminari; non una sentenza di condanna dell’imputato (quella che definisce il processo).
Sarà solo in quel momento, quando inizieranno ad arrivare i primi provvedimenti della Cassazione sulle sentenze dei giudici di primo e secondo grado in questa materia (in particolare, in ordine ai delitti di inquinamento e disastro ambientale), che si potrà davvero capire se gli ecoreati funzionano o no.
Fatta per l’ennesima volta questa doverosa puntualizzazione, non si può non prendere atto, con discreta soddisfazione, che la linea interpretativa che la Suprema Corte (S. C.) sta adottando in quest’ambito pare di assoluta coerenza, tra i suoi provvedimenti nonché, ancor più, con lo spirito della legge n. 68\15: una tutela sostanziale, avanzata, rigorosa del bene ambiente, fermi restando i principi di garanzia del nostro ordinamento penale.
Elemento ulteriormente significativo, il Supremo Collegio, percorrendo senza incertezze la direttrice di marcia su indicata, scandaglia e chiarisce, di volta in volta, i punti più controversi della norma. Secondo l’art. 452 bis del codice penale, il delitto di inquinamento ambientale è commesso da “chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili: 1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; 2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.”
Ebbene, dopo l’avverbio “abusivamente”, sul quale alcune bizzarre interpretazioni, provenienti da soggetti più o meno qualificati, avevano scatenato la classica tempesta in un bicchier d’acqua nella fase di approvazione della legge, rubando impropriamente la scena a questioni ben più serie; dopo i concetti di compromissione o deterioramento; stavolta la Corte di legittimità affronta il tema degli aggettivi qualificativi che accompagnano i due sostantivi appena citati, fornendo un contributo interpretativo prezioso, come tutti quelli che derivano dall’Autorità Giudiziaria posta in posizione apicale nel nostro sistema processual penale.
Secondo i supremi giudici, ai due aggettivi in questione va attribuito “il significato ampio che già il legislatore del 2006, al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 300 aveva riconosciuto, e cioè che la situazione di compromissione o deterioramento dell’ambiente debba essere significativa (quindi apprezzabile qualitativamente) e misurabile (quindi apprezzabile quantitativamente)”.
Segue un riferimento, vieppiù utile, a quello che si ricordava sopra esser lo spirito di questa sospiratissima riforma, che, in quanto tale, deve guidare l’interprete: “La legge ha volutamente utilizzato degli aggettivi generici, sebbene stringenti per l’operatore, perché ha reso penalmente rilevanti tutti quei casi in cui la compromissione o il deterioramento dell’ambiente siano significativi o rilevanti e misurabili”. Nel caso di specie, “la misurabilità è consistita nel prelievo dei campioni e nella loro analisi per ben tre volte, la significatività è stata apprezzata dai Giudici, anche tenuto conto del danno alla collettività come documentato dalle doglianze dei cittadini…”.
Il fatto, poi, che l’indagato fosse “ben avvertito della situazione”, secondo la S.C., fa affermare la piena “prevedibilità ed evitabilità” dell’evento di inquinamento da parte del soggetto stesso; in questo modo, i giudici del Palazzaccio pongono anche importanti paletti per delimitare il cosiddetto “elemento psicologico” in questo tipo di reati.
Insomma, siamo ancora agli inizi, ma sembrerebbe quasi di intravedere qualcosa di assai simile a una tutela penale seria; adeguata, cioè, a un bene giuridico indubitabilmente serio come le matrici ambientali.
​Se non si dovesse rivelare un’illusione ottica, dopo decenni di stupro sistematico, e altrettanto sistematicamente impunito, del nostro ambiente, sarebbe una gran bella immagine. -
02/08/2017
Earth Overshoot Day il 2 agosto già finite le risorse della Terra per il 2017
Earth Overshoot Day, il 2 agosto già finite le risorse della Terra per il 2017
Quest’anno l’Earth Overshoot Day, il giorno in cui la popolazione mondiale ha consumato tutte le risorse terrestri disponibili per il 2017, sarà già il 2 agosto. Da mercoledì il pianeta sarà sovrasfruttato dall’uomo, a seguito di un tasso di consumo 1,7 volte più veloce della capacità naturale degli ecosistemi di rigenerarsi. Lo evidenzia il calcolo dell’organizzazione di ricerca internazionale Global Footprint Network.
L’uomo si rivela, anno dopo anno, sempre più “vorace” e le risorse naturali, quelle che la Terra è in grado di rigenerare da sola, si esauriscono sempre prima. Lo dimostra il fatto che ogni anno questa giornata ricorre sempre prima a causa dell’aumento dei consumi mondiali di natura che comprendono frutta e verdura, carne e pesce, acqua e legno. L’anno scorso era stata celebrata l’8 agosto, due anni fa il 13 agosto, nel 2000 a fine settembre.
Invertire la tendenza, secondo gli attivisti, è possibile e lanciano la campagna #movethedate, per cercare di posticipare l’Overshoot Day. Se riuscissimo a spostare in avanti questa data di 4,5 giorni ogni anno, spiegano, ritorneremmo “in pari” con l’uso di risorse naturali entro il 2050. Ognuno può contribuire con piccole azioni ma servono soluzioni “sistemiche”, dice l’organizzazione: se ad esempio l’umanità dimezzasse le emissioni di anidride carbonica, l’Overshoot Day si sposterebbe in avanti di quasi tre mesi.
Cities :
as our recent report on the Mediterranean region showed. This trend will continue, as 70% to 80% of all people is expected to live in urban areas by 2050.
Consequently, smart city planning and urban development strategies are instrumental to make sure there is enough natural capital and to avoid excessive human demand that would erode it. Examples include energy-efficient buildings, integrated zoning, compact cities, and effective options for people-powered and public transportation.
UN Sustainable Development Goal 11 Sustainable Cities and Communities features several 2030 targets, including:
reduce the adverse per capita environmental impact of cities. provide access to safe, affordable, accessible and sustainable transport systems for all, notably by expanding public transport. enhance inclusive and sustainable urbanization and capacity for participatory, integrated and sustainable human settlement planning and management in all countries.
Energy :
Not only is decarbonizing the economy our best possible chance to address climate change, but it would also improve the balance between our Ecological Footprint and the planet’s renewable natural resources.
Per the 2015 Paris Accord on Climate, capping the global temperature rise at below 2°C (or even 1.5°C) implies keeping CO2e- atmospheric concentration below 450 parts per million (ppm). In 2017, the atmosphere contained 409 ppm CO2. The current carbon Footprint adds 2 to 3 ppm of CO2 to the atmosphere per year. This means that all of us need to phase out fossil fuels way before 2050, if we want to live up to the Paris agreement.
UN Sustainable Development Goal 7 Affordable and Clean Energy calls for substantially increasing the share of renewable energy in the global energy mix by 2030. Reducing the carbon component of humanity’s Ecological Footprint by 50% would get us from consuming the resources of 1.7 Earths down to 1.2 Earths. This corresponds to moving the date of Overshoot Day by 89 days, or about three months.
Food :
1. Resource inefficiency in food production.
Animal calories are significantly more resource intensive than plant calories to produce. In fact, China’s government is committed to reducing meat consumption by 50% by 2030. This would reduce the Ecological Footprint by more than 126 million global hectares and move the date of Overshoot Day back 1.5 days (according to China’s current Ecological Footprint figures).
2. Food waste.
About one third of the food produced in the world for human consumption — 1.3 billion tonnes every year — gets lost or wasted, with high and low-income countries dissipating roughly the same quantities of food, according to the UN Food and Agriculture Organisation. That’s equivalent to 9% of humanity’s Ecological Footprint.
In the United States, an estimated 40% of the food goes to waste. That’s the equivalent of the total Ecological Footprint of Peru and Belgium combined, or the total biocapacity of Mexico.
One target of UN Sustainable Development Goal 12 Sustainable Consumption and Production is to halve per capita global food waste at the retail and consumer levels and reduce food losses along production and supply chains, including post-harvest losses, by 2030. If we cut food waste in half worldwide, we would move Overshoot Day by 11 days.
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01/11/2016
Fiume Pescara in Abruzzo : Arsenico 12 volte superiore al limite di legge!
Ambiente Italia :
FIUME PESCARA IN ABRUZZO, ARSENICO DODICI VOLTE SUPERIORE AL LIMITE
"Prima il mercurio e i solventi “smaltiti” dall’ex stabilimento della Montesidon a Bussi sul Tirino. Adesso nel fiume Pescara sono state trovate anche quantità di arsenico dodici volte superiori al tetto consentito per legge. E l’arsenico è un cancerogeno, un inquinante potente. L’ha scoperto l’inchiesta “Panta Rei” sul traffico illecito di rifiuti e lo sversamento di liquami nel fiume Pescara, diretta dalla Dda e portata avanti dai comandi provinciali della Forestale di Pescara e Chieti. Un’inchiesta nata sulla spinta degli esposti anonimi per gli odori nauseabondi che arrivavano da quell’impianto come ha ricordato Antonietta Picardi, uno dei sostituti procuratori della Direzione distrettuale antimafia che si è occupata del caso.
L’impianto responsabile degli scarichi velenosi nel fiume è il Consorzio di bonifica Centro di Chieti. Il Consorzio vi scaricava consapevolmente arsenico (impiegato nelle procedure di depurazione dei fanghi) con dosaggi assurdi: una dozzina di volte i limiti prescritti dall’Autorizzazione integrata ambientale. E sapeva dell’arrivo dei controlli dell’Arta (Agenzia regionale per la tutela dell’ambiente). Arta che “già nel 2011 aveva segnalato pesantissimi deficit dell’impianto: un colabrodo, dalle vasche fuoriusciva di tutto perché c’erano buchi grossi come una mano” racconta al fattoquotidiano.it Augusto De Sanctis, uno degli ambientalisti che più si batte per la salvaguardia dell’ambiente abruzzese. Storie di ordinarie manomissioni dei campioni da far poi analizzare dall’Arta, come si evince per esempio da queste intercettazioni ambientali di un anno fa: “Devo preparare tutto! Bottiglie, tutto” afferma uno dei personaggi coinvolti nell’inchiesta. “Date un correttivo! Un correttivo non fa male, eh – gli risponde un altro tecnico. Che poi aggiunge: “Tredici di ammoniaca. Ci avete messo un po’ di acqua allungata?… Così non li portate, non sia mai che esce quindici e qualcosa che mi vado a tagliare le palle con le mani mie… Mannaggia la miseria! Mettevamo un po’ d’acqua, portavamo l’ammoniaca a otto”.
Un vero e proprio attentato alla salute pubblica, quello configurato dall’operazione “Panta Rei” che ha portato fin qui in carcere quattro persone, mentre altre cinque sono state denunciate. Ecco spiegata, e per l’ennesima volta, la genesi del forte inquinamento di vasti tratti del mare abruzzese, a cui va aggiunto “il mancato rispetto dell’ambiente che ci circonda” ha commentato il sostituto procuratore antimafia dell’Aquila David Mancini. E il sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia Antonio Laudati: “Di fronte all’arsenico messo nel fiume bisognava intervenire per la tutela dell’incolumità pubblica. Questo è un tipo di reato per cui c’è bisogno di una particolare sensibilità delle strutture pubbliche: sono reati vaghi, senza facce di vittime, ma che colpiscono un numero indeterminato di persone. E così ci ritroviamo mare inquinato, persone avvelenate, pesci ammazzati e ambiente distrutto”.
Un reato dagli effetti imprevedibili, e potenzialmente immani. La lezione di Bussi non è bastata. “Sconvolge che persone operanti per un soggetto pubblico come il Consorzio siano accusate di reati così gravi. Possibile che con tutti i problemi ambientali che abbiamo in Abruzzo le strutture del Consorzio siano diventate, negli anni, un punto di riferimento per lo smaltimento di rifiuti da tutta Italia? – si chiede il Forum abruzzese dei movimenti per l’acqua -. Bisogna prosciugare il brodo di coltura fatto di incapacità, inadempienze diffuse e superficialità su cui poi può prosperare l’illegalità. E occorre una grande opera di trasparenza degli atti: solo per ottenere la pubblicazione dei dati dei controlli ai depuratori ci sono voluti 6 anni”.
di Maurizio di Fazio
"Un Ringraziamento a Maurizio di Fazio per l'articolo conciso e preciso, in grado di farci capire quanto l'ignoranza umana data inconsapevolezza (dei danni in grado di arrecare all'ambiente), la completa mancanza di quel senso civico che crea incompetenza, malafede. Purtroppo la gestione degli impianti in Italia è nella sua quasi totalità delegata a soggetti incapaci e illegali. E devastante constatare quanto l'intelligenza e sapienza non venga premiata nel nostro paese. Abbiamo generato giovani che sono il patrimonio ora di altri paesi, scartandoli per chi costa meno economicamente e paghiamo a caro prezzo distruggendo ciò che è la nostra forza.
Quando ho inserito il "primo mattone" mentale nella costruzione di Hydro Technology, della filosofia che doveva rispettare ogni giorno. Queste notizie sono un coltello, una piaga, che nel piccolo di grandi aziende si lotta ogni giorno per poter trasmettere la filosofia di quello che è "un nuovo mondo" da proteggere e rigenerare, a partire dall'acqua. Che ci rappresenta e ci fa vivere..."
Matteo Giacopini
Hydro Technology
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15/08/2016
DMV Deflusso Minimo Vitale dei corsi d'Acqua, Questo sconosciuto!
"DMV" Questo sconosciuto in Italia, nonostante le normative e sanzioni esistenti! DMV sta per Deflusso Minimo Vitale dei corsi d'Acqua
Report di Fabio Balocco
"Ogni anno, d’estate, siamo alle solite. I nostri corsi d’acqua si trasformano in corsi. E basta. Quando faccio i miei giri in bicicletta nella nostra pianura spesso sono solo dei letti di pietre ad indicarmi dove qualche tempo prima scorreva l’acqua e pulsava la vita. Poi, magari più a valle l’acqua “miracolosamente” ricompare, ma è solo grazie al fatto che vi sono delle risorgive o degli affluenti. E ogni anno un giornalista si accorge che stranamente manca l’acqua in quel certo fiume, che, essendo proprio un fiume e non un torrente, un po’ d’acqua dovrebbe pur sempre portarla.E allora cosa succede? Allora succede che siamo in Italia, dove, come in tutta Europa, vige l’obbligo di rilasciare il deflusso minimo vitale (Dmv), quando vengono assentite le concessioni di derivazione d’acqua, delle quali le più dannose per i fiumi e i torrenti sono quelle a uso agricolo. Ma chi controlla che effettivamente venga rilasciato il Dmv? Visto che i corsi d’acqua sono in secca la risposta è: nessuno, o comunque i controlli sono insufficienti. In realtà, difficile qui dire se i controllori siano insufficienti o inefficienti: il risultato è comunque drammatico, la mancanza di vita, il deserto. E comunque è chiaro che a monte ci sta tutta l’insensibilità di una classe politica nei confronti dell’ambiente, perché altrimenti si troverebbero le risorse per controlli puntuali ed efficaci.
Ma la cosa che fa arrabbiare è anche: dove va tutta quest’acqua destinata a scopi agricoli? Va in coltivazioni di agricoltura intensiva come il granoturco che non servono all’alimentazione umana bensì a quella animale. Circa il 90% del mais prodotto in Italia serve ad alimentare animali cosiddetti “da reddito”. E almeno qui arriva una buona notizia: il consumo di carne in Italia sta visibilmente diminuendo. Purtroppo, non certo per ragioni di sensibilità ambientale (acqua sottratta ai fiumi) o animalista (condizioni di vita degli animali), ma per ragioni di costi e di timori per la salute.
Ma una situazione analoga a quella dei prelievi agricoli si verifica nel campo idroelettrico, altra causa della sparizione dell’acqua. Anche qui concessioni rilasciate a pioggia e pressoché nessun controllo sugli effettivi prelievi, tanto che si può definire l’idroelettrico energia rinnovabile, ma non certamente pulita. Ed anche qui l’incazzatura. In Italia già adesso si produce più energia di quanta se ne consuma e addirittura, dal 2006, si è invertito il trend e da buoni spreconi, gli italiani consumano più energia elettrica d’estate che d’inverno.E’ evidente che qui, come nel campo alimentare, è in gioco il nostro stile di vita. Quando ero piccolo, mia nonna, già allora rendendosi conto che si viveva al di sopra delle nostre reali esigenze, ammoniva: “Per voi ci vorrebbe un po’ di guerra”. Forse aveva ragione."
Grazie Fabio per il Report giornalistico, il problema principale è che ci sono le norme, ma nessuno vuole farle rispettare, troppi interessi, a partire dalle stazioni idroelettriche di riferimento. L'Acqua è una necessità vitale, sia per noi sia per il mondo che abitiamo. Va Salvaguardata ancor di più della nostra vita, proprio perchè è la nostra vita a dipendere da essa! La tecnologia di recupero delle acque di scarico esiste, e per irrigare andrebbe benissimo, viene applicata con successo in molte parti del mondo. Continuare a prelevare acqua da sorgenti e fiumi per irrigare "piantagioni" di allevamenti (la cui carne viene buttata ogni giorno dai supermercati) non ha alcun senso. Cosi come non hanno senso centrali idroelettriche laddove l'acqua non è più un energia rinnovabile. Purtroppo è cosi , l'acqua non è una fonte rinnovabile, lo è per noi adesso, perchè quando lasceremo il pianeta ci sarà ancora. Ma è un concetto egoistico, abbiamo la possibilità di salvare il futuro dei nostri figli e dei figli che verranno., la possibilità ed il dovere di farlo ora.
Giacopini Matteo
Hydro Technology Founder -
15/06/2016
IL RECUPERO DELLE ACQUE : SICUREZZA IDRAULICA e RISPARMIO DELLA RISORSA IDRICA
UNIVERSITA' di PARMA - Seminario
"IL RECUPERO DELLE ACQUE : SICUREZZA IDRAULICA e RISPARMIO DELLA RISORSA IDRICA"
Giacopini Matteo GM Hydro Technology sarà presente come relatore sull'argomento "Disinfezione & Debatterizzazione UV delle acque ad uso pubblico, a partire dalla gestione nelle piscine comunali"Il giorno 15 Giugno 2016 presso il Campus Universitario di Parma si terrà il Seminario formativo "Il recupero delle acque: sicurezza idraulica e risparmio della risorsa idrica”.
L’ordine dei Geologi dell’Emilia Romagna, l’ordine degli Architetti della Provincia di Parma, il Collegio dei Geometri di Parma, il Dipartimento Dicatea e il Dipartimento Difest dell’Università degli Studi di Parma con il patrocinio di Comune di Parma e Montagna 2000 Spa organizzano il Seminario Formativo "Il recupero delle acque: sicurezza idraulica e risparmio della risorsa idrica”.
"Un caloroso ringraziamento a Geologo Dott. Fabio Bussetti"
Matteo Giacopini -
29/06/2015
Il Problema Invisibile delle Perdite di Acqua dalle Tubazione Sotterranee di Tutto il Mondo!
Water loss: the invisible problem affecting cities worldwide - infograph
Cities lose high percentages of water from their networks every year. Real losses - often due to old and leaky pipes - are a major factor in this loss, but pump technology developed by Grundfos & HT Hydro Technology can help!AN INVISIBLE GLOBAL PROBLEM
The Grundfos DDD controller provides pressure management, gradual ramp-up and ramp-down, the cascade operation of up to six pumps, and monitoring and control with clear text messages. The DDD controller is available with application-optimised software for up to six pumps from Grundfos.
Described below are three different versions for different sizes of networks, but all pump types can be operated by the DDD controller, with substantial economical benefits.
HT Hydro Technology System Coordinate
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16/02/2015
Rischio Amianto in 100.000 km di tubazioni in Italia!!
"I danni d’amianto sono danni di natura sistemica primo perché gli apparati degli organi di bersaglio sono numerosissimi anche la frequenza varia in relazione alla via di ingestione, ma soprattutto da numerosi decenni la Comunità scientifica mette in luce anche un impatto sistemico, un impatto negativo dell’amianto sul sistema immunitario. "
"C’è un rischio in Italia, in Europa e su tutto in pianeta che viene fortemente sottovalutato ed è il rischio di inquinamento da amianto proveniente dalle tubazioni per la distribuzione dell’acqua potabile. In Italia, l’entità del problema dovrebbe corrispondere a circa 100 mila chilometri di tubazioni, secondo una stima del 2013 dell’Arpa Lazio, uno dei problemi fondamentali è che si è spesso discusso del nesso tra rischio di dispersione e rischio di tumori per l’apparato gastroenterico.
La situazione in Emilia Romagna
Inquadriamo meglio il problema: per esempio nell’area di Bologna e hinterland vi è la presenza di 1650 chilometri di tubazioni in cemento-amianto. Questa presenza comporta un rischio di ingestione e di inalazione. Un rischio duplice legato a fenomeni di usura di queste tubazioni dovute dalle escursioni termiche dai fenomeni sismici, non a caso è molto facile ipotizzare e affermare che la situazione peggiore in Emilia Romagna negli ultimi tempi è stata quella monitorata a Carpi: 160 mila fibre di amianto per litro d’acqua, ma queste 160 mila fibre sono state monitorate con un metodo di analisi che sottostima fortemente la presenza dell’amianto. L’unica volta che in Emilia Romagna è stato utilizzato il metodo conosciuto negli Stati Uniti, quindi con un microscopio elettronico a trasmissione. Il monitoraggio fatto nelle acque potabili di Ravenna nel 1995 ha misurato fino a 2,5 milioni di fibre per litro d’acqua. Tutti gli altri campionamenti, da Piacenza a Rimini, come il 99% dei campionamenti fatti in Italia sono stati fatti in microscopia elettronica a scansione, alcuni addirittura in microscopia ottica. La scala sostanziale di trasformazione del dato dall’ottico alla scansione è di 30/100/100 mila alla trasmissione. Quindi i dati di Carpi, riletti sulla base del metodo statunitense che prevede l’utilizzo della microscopia elettronica a trasmissione e anche un’azione di scuotimento forte del campione prima dell’analisi. Lascio quindi immaginare cosa arriveremmo a misurare a Carpi con la microscopia elettronica a trasmissione metodo di riferimento di molti gestori e ahimè anche pubblici. Questo è assolutamente falso perché si confrontano metodi analitici assolutamente diversi l’uno dall’altro. C’è un’evidenza in tutta Italia che riguarda i lavoratori del cemento-amianto. Qui abbiamo numerosi casi, alcuni censiti, altri sfuggiti al censimento di mesoteliomi in lavoratori che hanno segato le tubazioni e quindi con un’esposizione abbastanza alta. Per quanto riguarda l’impatto sulla popolazione dobbiamo focalizzare il problema su quel 50% circa di donne ammalate di mesotelioma in Emilia Romagna e in Toscana. Dato emerso da quasi tutti i registri regionali per il quale gli osservatori concludono dicendo che l’esposizione è sconosciuta.
L'impatto sulla popolazione: le neoplasie
Altri ricercatori hanno già focalizzato questo problema che il numero di mesoteliomi nei quali non si riesce a ricostruire le esposizioni riguardano le donne, perché trascorrono più tempo in casa e sono più esposte all’inquinamento sia per ingestione, sia per l'inquinamento indoor. La Comunità scientifica è assolutamente convinta che ci sia un impatto cancerogeno negativo anche sull’apparato gastro-enterico, c’è qualcuno che ancora, secondo me, poco autonomo continua a sollevare dubbi, ma ripetiamo: l’inquinamento non è soltanto per via ingestiva, ma anche per via inalatoria. Qui devo sottolineare che a Bologna, ma anche in quasi tutta Italia, l’amianto prevalentemente utilizzato è l'amianto bianco crisotilo, cancerogeno come pure cancerogeni sono gli Anfiboli, però è stata dimostrata purtroppo la presenza anche di anfiboli, vale a dire amosite e crocidolite che sono cancerogeni come il crisotilo, però più aggressivi. La conclusione è molto chiara, noi abbiamo sempre rintuzzato l’ipotesi che si abbia a che fare con il principio di precauzione, no, noi diciamo che qui siamo andati mille miglia oltre il principio di precauzione, siamo all’evidenza assoluta dell’impatto cancerogeno dell’amianto nelle tubazioni sulla popolazione, perché i soggetti esposti assorbono questo amianto sia per via inalatoria che per via gastro-enterica. Si pone il problema dell’assoluta urgenza di unabonifica radicale, detto anche dalle commissioni tecniche incaricate dal Congresso degli Stati Uniti, erroneamente si attribuisce agli Stati Uniti un atteggiamento di tolleranza che non esiste, perché il Congresso degli Stati Uniti ha deciso che le tubazioni vanno bonificate e città statunitensi come Cleveland hanno già avviato del 1984 un progetto locale di bonifica integrale.
Bonifica radicale
L’esigenza che noi abbiamo è di un intervento di bonifica radicale urgente, ma diremo la stessa cosa per qualunque altro cancerogeno al fine dell’esclusione totale delle sostanze cancerogene dal ciclo produttivo al ciclo alimentare, sostanze che danneggiano il Dna. Queste sono sostanze per le quali non si può assolutamente ipotizzare l’esistenza di una soglia di sicurezza, poi qualcuno può ipotizzare che le vittime saranno poche, ma questa osservazione non merita nessun commento perché il diritto alla salute non è un diritto della maggioranza, il diritto alla salute è un diritto di tutti! Anzi in particolare dei più vulnerabili, il Ministro della Salute in Italia di cosa si sta occupando? Passate parola!" Vito Totire, Presidente Associazione Esposti Amianto e Rischi per la Salute.
di Vito Totire, Presidente Associazione Esposti Amianto e Rischi per la Salute -
16/05/2014
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